12 Novembre 2018

#1 – Amba Aradam o Ambaradan? La “faccia nera” dell’Impero

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Siamo davvero consapevoli di che cosa è stato il colonialismo italiano? Basta pensare con quanta leggerezza si usa la parola “ambaradan”, che dovrebbe ricordare la battaglia del febbraio1936, vinta dalle truppe regie regolari insieme ai volontari camicie nere riversando dagli aerei iprite (gas tossico proibito dalla Convenzione di Ginevra) per 4 giorni, anche sui civili.

Sangue giusto (Francesca Melandri, Rizzoli 2017) è il titolo di un romanzo che potrebbe essere definito storico. Un titolo che cela molteplici valenze di significato e significante, tutte atte a dis-velare, intrecciandole, due storie principali: privata e familiare una, e quella becera dello svampito quanto macellaio colonialismo italiano, l’altra. Storie che ancora oggi non si limitano a produrre una eco fastidiosa, ma che sono costantemente vive e artigliate al nostro presente. Sono sangue, per l’appunto.

Il sangue giusto pare rimandare, fin dalle prime pagine, alla spinosa questione dello ius sanguinis, l’unico ‘giusto’ (iustum), quello che nega ogni diritto al migrante contemporaneo, a quello deportato nei CIE, nei centri di accoglienza o nelle nuove piantagioni schiaviste, il cui sangue a dirla tutta non è neppure preso in considerazione, basta il colore dell’involucro esterno, come per il migrante di seconda generazione, nato e cresciuto in Italia da genitori stranieri.

Ma sangue giusto, in quanto necessario, è anche quello dei guerriglieri della resistenza etiope, che compaiono alla fine del romanzo.

Il vecchio Attilio Profeti, nome di battaglia Attila, eroe dell’esercito patrio e camicia nera, nonché faccendiere in democrazia, a cui la vecchiaia ha fatto perdere molto dello smalto da dispersore di seme, rendendolo fin troppo umano, ha una famiglia allargata, il cui raggio dalle nebbie del nord Italia giunge a passi felpati a Roma e ad Addis Abeba.

Attraverso la figlia di Attila, Ilaria, sul cui pianerottolo compare, come un topolino a cui poter fare l’abitudine, un presunto nipote etiope del padre, Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti – così dice anche il documento -, viene ripercorsa, oltre a quella personale di Attila Profeti, una parte di storia italiana dal 1910 al 2012: dalla prima guerra mondiale, al fascismo, visto dalla parte nera, al colonialismo italiano nel Corno d’Africa per finire nel CIE di Ponte Galeria, dopo la traversata del Sahara e del Mar Mediterraneo.

All’epoca dell’Impero coloniale venivano definite “madame” le donne delle colonie che, per costrizione o per scelta, assai poco libera, convivevano come mogli temporanee con i colonizzatori.  Uno dei tanti modi di affermare i diritti di una razza superiore. Con le leggi razziali, il mescolarsi non fu più tollerato e tanto meno il riconoscimento dei figli nati da queste relazioni: non bisognava “inquinare la razza” (pochi sfidarono i divieti, chi portandoli con sé in Italia, sottraendoli alla madre: ricordiamo Isabella e Giorgio Marincola in Timira dei Wu Ming, chi fermandosi in quei territori dopo la guerra).

Ciò che più si apprezza del romanzo è il rigore dei percorsi storici portati avanti con acume letterario e dovizia documentaria assai fruibile. Sono presenti nomi, cognomi e azioni dei protagonisti di una parte di storia davvero poco affrontata anche dagli studi di settore, quella della colonizzazione italiana del Corno d’Africa. Lidio Cipriani, Rodolfo Graziani, Giorgio Almirante, il DERG, la strage di Addis Abeba, La difesa della razza e il suo fondatore Telesio Interlandi e così via. Ci si chiede come sia possibile, ad esempio, che a Graziani, macellaio di Addis Abeba, sterminatore dei resistenti in Cirenaica, boia di Salò, sia stato dedicato un mausoleo ad Affile un anno fa.

Forse per incentivare la rimozione si è deciso proprio in questi giorni di eliminare il tema di storia dall’esame di maturità: così sarà più facile dire che in fondo la dittatura fascista “molte cose buone le ha fatte”. A quanto affermavano i ferrovieri dell’epoca non è vera neanche la leggenda dei treni in orario, soprattutto nelle tratte secondarie.

C’è molto nel romanzo della Melandri della nostra storia di ieri e di oggi, non manca l’attualità all’epoca del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, quest’ultimo calzato a pennello da Ilaria, insegnante sinceramente democratica e rigidamente innamorata, sì di un parlamentare di Forza Italia, ma onesto. Gheddafi con la tenda a Villa Pamphili e la pletora di leccapiedi e modelle all’occasione, nonché sullo sfondo gli accordi fra Italia e Libia per le concessioni delle piattaforme petrolifere e per il controllo dell’immigrazione nei lager libici. Accordi prontamente ratificati da qualsiasi governo, Gheddafi o no.

Le pagine scorrono flash back dopo flash back con agilità per l’avida curiosità di voltare pagina. Molteplici ed eterogenee sono le vie qui percorse. Così, senza cadere in sentimentalismi la Melandri riesce a penetrare in pieghe, più o meno flessuose, che si confermano universali: il sesso, i corpi, l’amore sia romantico che disincantato, il tempo, così differente per classe sociale e condizione materiale dell’esistente, il potere che si cela dietro ad ognuno di questi fenomeni. Il sesso e i corpi sia di uomo che di donna sono uno dei puntelli narrativi del romanzo. Corpi visti attraverso le tenebre delle leggi razziali, ma anche attraverso il chiaro scuro della luna condivisa con Abeba, la donna etiope. Corpi a disposizione del maschio alfa Attila, avvenente modello di razza ariana, prontamente e bramosamente consegnati dalle due mogli italiane Marella e Anita ad ogni ario piè sospinto, il tutto a ironico rinforzo dello stereotipo dello stesso maschio italiano, che in vecchiaia non cessa di destare profonda tenerezza nella figlia e profonda attrazione nelle donne.

Alfa o zeta che sia, l’italianità sia maschile che femminile ne esce franta e in completa debacle. Vigliaccheria, presunzione, piaggeria e crudeltà dipingono i volti delle camice nere, dei gerarchi, dei faccendieri e di chi è rimasto a casa in quieto collaborazionismo, come il ferroviere Ernani, padre del protagonista e sua moglie Viola. I massacri di Addis Abeba, di Amba Aradam e tanti altri mostrano la violenza del razzismo coloniale italiano sfatando l’autoassoluzione di  “Italiani brava gente”. Una volta per tutte.

Suggerimenti

Ascolti: La Badoglieide – https://www.youtube.com/watch?v=KzyWpxIEIG0

Faccetta nera (che piace ai fascisti di oggi, ma era insopportabile per Mussolini)

Lettura:  Italiani brava gente? di Angelo Del Boca

Timira dei Wu Ming

Da notare che “Sangue giusto”, poco promosso in Italia, viene tradotto in diversi paesi europei e fra un po’ se parlate con amici tedeschi è probabile che lo abbiano letto, e voi?

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