28 Giugno 2019

Intervento di KARLENE GRIFFITHS SEKOU – pt 2

CONDIVIDI

L’8 maggio 2019 Non Una Di Meno Perugia ha incontrato Karlene Griffiths Sekou, attivista di Boston di Black Lives Matter, presso il Cinema Post Modernissimo di Perugia.

Non Una Di Meno è nata e cresce come una rete transfemminista globale che si interroga e propone di portare avanti modalità e contenuti intersezionali e dal basso (basti pensare alla forte connotazione antirazzista e meticcia di Ni Una Menosin Argentina). L’evento con Black Lives Matter è stata un’eccezionale occasione di maturazione ed incontro delle realtà Non una di Meno e BlackLives Matter, accomunate da un approccio politico che valorizza i punti di incontro tra soggettività marginalizzate trasformandoli in punti di forza e percorsi di lotta comuni. Ringraziamo ancora una volta Karlene e Black Lives Matter prontX ad intrecciare ancora pratiche e saperi. 

Di seguito la traduzione in lingua italiana della seconda parte dell’intervento di Karlene a cura di Non Una Di Meno Perugia.

Per la prima parte dell’intervento clicca qui

* Il testo presenta una traduzione multiforme della declinazione di genere, con vocali variabili transcomprensive.


NON UNA DI MENO PERUGIA INCONTRA BLACK LIVES MATTER (parte 2)

[…] E questi stessi valori ideologici di “bianchezza” e controllo da parte dei bianchi, che danno vita ad un (certo tipo di) identità nazionale, proprio come avveniva anche durante il periodo della plantocrazia, sono quelli che vediamo sempre più diffondersi negli Stati Uniti, anche se sotto forme differenti, e che contribuiscono ad identificare/incasellare [come inferiori, Ndt] anche donne appartenenti a certi tipi di religione.

Questi valori vanno a costituire le basi del movimento Alt-right e dei movimenti neofascisti che hanno sì le loro peculiarità geopolitiche, ma che hanno anche le loro radici in movimenti del passato, come ad esempio l’Apartheid in Sud Africa o i movimenti nazifascisti in Europa, che sono tuttora presenti e attuali. Queste sono connessioni di un fenomeno che è globale e che si muove anche negli Stati Uniti.

E così, nel 2012, è stata uccisa l’ennesima persona nera: un giovane ragazzo nero di nome Trayvon Martin che è stato assassinato in Florida da George Zimmerman, la cui etnicità qui non sarebbe rilevante ma, per contestualizzare, dirò che è socialmente riconosciuto come bianco [per whitepassing si intende il fenomeno per cui una persona tradizionalmente classificata come di appartenenza ad un gruppo “non bianco” è accettata e riconosciuta socialmente come “bianca”, Ndt].

La ragione per cui specifico queste cose è perché negli Stati Uniti le persone nere, i corpi neri, vengono relegati solo in determinati spazi. Trayvon Martin era, dunque, un teenager nero che camminava liberamente in una gated community [o walled community, si definisce una tipologia di modello residenziale spesso recintata, formata da gruppi di residenze esclusive e con accesso sorvegliato da polizia privata e/o vigilanti, controllato e filtrato in base alla residenza, Ndt]. Era andato a trovare sua nonna e si trovava in un quartiere al quale, secondo questa mentalità e narrativa, non apparterrebbe. A quel punto, George Zimmerman, che era una guardia di sicurezza privata, ne ha fatto un profiling razziale [l’espressione profilazione razziale (in inglese racial profiling) indica una associazione tra razzializzazione e pericolosità sociale per la quale le forze dell’ordine usano la “razza” come elemento che porta a sospettare di una persona e a reagire di conseguenza nei suoi confronti, Ndt]: ha seguito il ragazzo ed ha avvertito la polizia e, nonostante questa gli avesse detto di non intervenire, ha continuato a pedinarlo. E ricordiamoci che Trayvon stava semplicemente uscendo dal negozio con una  tazza di the freddo in mano, un pacchetto di skittles e il cappuccio della felpa tirato su. Ma nella mente di George Zimmerman Trayvon era un criminale e quindi lo ha seguito e lo ha ucciso.

Ed è quando la giuria ha assolto George Zimmerman, che Alicia Garza, Opal Tometi e Patrisse Cullors hanno iniziato ad usare l’hashtag Black Lives  Matter, proprio perché, che sia per mano di una guardia privata o di un poliziotto, incidenti come questo continuano a  ripetersi. Questo era l’ennesimo! Infatti, secondo il movimento Malcom X Grassroots [MXGM, organizzazione composta da Afrikans in “America” e Nuovi Afrikans, la cui missione è di difendere i diritti umani delle persone nere e promuovere l’autodeterminazione nella propria comunità, Ndt] ogni 28 ore una persona nera viene uccisa dalla polizia, dai vigilantes o da una guardia privata.

Ne veniamo a conoscenza solo ora grazie anche ai social media, ad esempio grazie alla possibilità di riprendere e condividere video. E quindi quando [Alicia Garza, Opal Tometi e Patrisse Cullors] hanno iniziato ad usare l’hashtag black lives matters era per dire che ci meritiamo di non essere uccisi e che bisogna smettere di uccidere le persone nere. E a partire da un hashtag la cosa si è ingrandita così tanto da dare vita ad un’organizzazione vera e propria, visto che continuavano a susseguirsi eventi simili.

Abbiamo lo strangolamento di Eric Garner a New York, otto mesi dopo; Renisha McBride… una sequela di omicidi di persone nere per mano di polizia, o vigilantes, o guardie private. E, dicevamo, black lives matters inziò a prendere slancio – sia l’hashtag che l’organizzazione- ma è stato solo nel 2014, quando hanno sparato ed ucciso Michael Brown a Ferguson, che il movimento si è accresciuto ancora di più.

E non sono solo gli uomini ad essere uccisi, ma anche le donne nere. Il 5 maggio è stato l’anniversario dell’omicidio di Sandra Bland che stava guidando la sua macchina e, ancora non sappiamo per quale motivo, è stata fermata dalla polizia a Huston, Texas. E, nonostante conoscesse i suoi diritti e avesse iniziato a chiedere informazioni e ad avere un’interazione con la polizia, è stata comunque arrestata, portata in prigione e alla fine ritrovata morta pochi giorni dopo misteriosamente.

Vorrei parlare un attimo di Donald Trump in questo momento politico. Come dicevo prima, la violenza contro le persone nere non è una novità. L’ascesa al potere di Donald Trump è la continuazione di un certo trend di discriminazione e odio contro le persone nere, contro i/le migrantx e contro le donne.

Porta allo scoperto tutte le tendenze che sono sempre state parte degli Stati Uniti. L’imperialismo è questo sistema globale di intreccio tra capitalismo e militarismo, di sicuro questo è il neocapitalismo in azione. Tutto ciò porta alla violenza cui stiamo assistendo negli Stati Uniti. E non mi riferisco solo a quello che succede alle persone nere, ma anche a quello che sta succedendo ai confini degli Stati Uniti in questo momento, con i/le migrantx che cercano di attraversarli e la loro deumanizzazione. Queste persone, infatti, vengono catturate durante il processo di richiesta di asilo. Secondo le leggi sui diritti umani hanno il diritto di richiedere asilo, ma vengono invece rinchiuse in gabbia. Fondamentalmente vengono imprigionate.

E ancora, questa violenza che colpisce anche i diritti riproduttivi e i diritti delle donne in molti stati degli USA [il riferimento è alle recenti proposte di legge antiabortiste, Ndt]. Quello che sappiamo, di cui tutti i movimenti sociali, come BLM, hanno consapevolezza è che il capitalismo razziale fa in modo che ognuna di queste discriminazioni e oppressioni venga letta come individuale, in maniera isolata e non intersezionale.

Quindi, se sei povero negli USA e hai pensato che Donald Trump potesse essere la soluzione [ai tuoi problemi] stai scoprendo che l’avidità delle grandi corporazioni, che hanno creato il divario socio-economico, non lavora nell’interesse delle persone povere. Perciò in BLM diciamo e crediamo che è nostro preciso dovere combattere per la libertà. Perché se non avessimo lottato strenuamente e non continuassimo a combattere contro la guerra dichiarata alle persone nere nella storia degli Stati Uniti, questa nazione continuerebbe a perpetrare il genocidio [come pratica fondante, Ndt].

E diciamo anche che fino a che le persone nere non saranno libere, nessunx sarà liber*.

Ed è da questo particolare posizionamento delle persone nere (schiavizzate, marginalizzate, disumanizzate, intrappolate: condizioni che hanno contribuito al benessere degli USA) e attraverso più di 400 anni di lotta dei movimenti sociali, che ci siamo battutx per chiedere il conto agli USA, proprio a partire dai loro stessi ideali di fondazione.

E questo è il motivo per cui nei nostri movimenti sociali, nel nostro immaginario, diciamo che le persone nere contano. Perché è vero ed è quello che intendiamo: le persone nere hanno sempre avuto importanza, hanno sempre contribuito, hanno sempre prodotto e sono sempre state cancellate dalla storia. Non siamo mai statu riconsciutu. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scroll to top