16 Novembre 2014

Sonico Blog | Pink Floyd “The Endless River”

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Pink Floyd
The Endless River
2014 (Parlophone) | rock strumentale

Dopo un attesa durata ben venti anni ecco una delle uscite sicuramente più discusse del 2014. I Pink Floyd decidono di dare alla luce una release che, come anticipato da comunicati precedenti dalla stessa moglie del chitarrista David Gilmour, è un contenitore di materiale inedito che il gruppo registrò durante le sessioni di The Division Bell. Altro non ci si poteva aspettare da una band orfana ormai da tempo del tastierista Richard Wright, membro storico nonché elemento indispensabile al suono della band in ogni segmento della loro frastagliata carriera, che ovviamente partecipa alle suddette registrazioni. Qui scatta la polemica: l’ombra della mera operazione commerciale offusca quello che in fine è un buon lavoro e che certo stuzzica l’appetito dei fan più sfegatati regalando delle vere e proprie chicche che altrimenti sarebbero rimaste chiuse in un archivio a prendere polvere. Credo che ci sia una bella differenza tra uno “scarto” vero e proprio e sessioni che per esigenze discografiche vengono messe da parte; quest’ultime possono, e in questo caso lo  sono, essere rappresentative di una specie di testamento che sicuramente, oltre a questioni economiche che risultano ovvie e scontate, emergono dall’intento della parte che rimane di una band che ha rappresentato e rappresenta la storia del rock. Non mi soffermerò come al solito ad analizzare i brani uno per uno perché questo è un disco che va preso nella sua totalità, ascoltandolo senza la pretesa di trovarci chissà quale elemento di eclatante innovazione, lasciandosi coinvolgere dalle sonorità sempre suggestive a cui i nostri ci hanno da sempre abituato. L’impressione che si ha ascoltando questo lavoro è quella della famosa credenza per la quale prima di morire ti passi tutta la vita davanti e così è: i suoni delle varie tracce ci riportano a continui deja vu che rimandano la mente a lavori come “Animals” “The dark Side Of The Moon” o “Wish You Were Here” pur mantenendo un piglio di contemporaneità. In conclusione, un ottima chiusura di carriera che non lascia ombre sulla band ma la fa uscire di scena come i migliori campioni, facendoceli ricordare come tali e non sull’orlo del fallimento.

Do.C.

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