Autore: Lautoradio

22 Aprile 2016

La sottile linea rossa (Malick)

Cari lettori,
torniamo oggi sulle pagine di Philmosophy con un capolavoro del cinema. Oggi è la giornata mondiale della Terra ed anche noi de Lautoradio vogliamo rendere grazie al mondo che ci ospita, che ci permette di vivere e di amare; personalmente ho deciso di omaggiare questa giornata con un film che eleva la natura come quasi nessun altro ha mai fatto: la dipinge come super partes, come madre del tutto – e da madre qual è, ama il tutto sempre ed incondizionatamente. Questo film, inoltre, ha segnato il genere a cui appartiene, lo ha solcato e lo ha ridisegnato, seppur non avendo quel successo presso il grande pubblico che, sicuramente, avrebbe meritato. Parliamo di una pellicola del grande regista Terrence Malick, dell’anno 1998: La sottile linea rossa.


Guadalcanal (Isole Salomone – Sud del Pacifico), 1942: la compagnia di fucilieri Charlie, di un reparto dell’esercito statunitense, viene mandata alla conquista di un campo d’aviazione giapponese posto in cima ad una collina dell’isola. Il gruppo di militari è guidato dal mite capitano Staros, agli ordini dell’ambizioso colonnello Tall; durante il lungo assalto alla collina si consumeranno le vicende e i tormenti interiori di un gruppo di uomini costretti a confrontarsi con i propri doveri e la follia della guerra, mentre la natura, lussureggiante e indifferente, sembra cullarli e contrapporsi alla loro logica.


Il film pur raccontando la guerra non la esibisce come protagonista (si pensi che nei primi quaranta minuti non viene sparato un colpo), ma la inserisce in una narrazione esterna e conseguente all’indole dell’uomo nel lussureggiare della natura. Li contrappone ad una natura che li osserva, li culla, ma mai li giudica; ad una natura che prosegue il suo essere e compie il ciclo che le compete.

Malick, è evidente, vuole utilizzare la guerra per raccontare l’uomo, per raccontare le atrocità che gli competono, ma anche la bellezza della freschezza nei suoi occhi che si riempiono della visione di semplicità e di naturalezza della natura che lo circonda. Il cercare, sempre, di fermarsi e di assaggiare l’aria, cullarsi fra l’erba alta, godersi il vento ed il riparo di una grossa pianta, il sole sul viso o l’acqua scendere in un fiume ed ancora la non violenza del cuore, il terrore di uccidere, la non volontà di uccidere, la ricerca della pace nella guerra. Mette quindi in risalto la contrapposizione fra natura placida, a volte tremenda, ma mai cattiva e la crudeltà umana che trova la sua iperbole in alcune inquadrature e battute che lasciano intuire allo spettatore che gli stessi soldati odiino quello che fanno e che solo chi li comanda, chi è dietro e non ha mai vissuto una guerra di persona, li esorta ad uccidere, a togliere la vita ad un loro simile, mentre la natura li coccola e li consola in un mare verde d’erba esposta al soffiare del vento.

Nel film ricorrono spesso tormenti interiori di vari soldati, tutti co-protagonisti, ed il regista racconta, appunto, la loro storia e la loro evoluzione con riflessioni, analessi e voci fuori campo che ne esplicano i pensieri più profondi e reconditi. La pellicola doveva durare, secondo il montaggio di Malick, più di sei ore, così raccontando e sviluppando l’intera storia di ogni co-protagonista, ma il regista si vide costretto a tagliare molte parti del film e a portarlo ad una durata di circa tre ore per ordine della produzione. Rimane il dubbio di che cosa realmente Malick potesse raccontare se avesse avuto il final cut, vedendo, appunto, cosa è riuscito a fare pur essendo sotto la morsa imprenditoriale delle produzioni: un vero peccato.

Quindi, “La sottile linea rossa” è un film da vedere assolutamente, amanti o non del genere, perché fa riflettere, spalanca gli occhi, la mente e la bocca, colpisce l’animo e la sensibilità dello spettatore mostrando scene nude ed iperboli personali mozzafiato. La tecnica del regista è pressoché perfetta, la trama è ben strutturata, la sceneggiatura è composta, la fotografia è immensa: il film è un capolavoro. Per inquadrare chi sia Terrence Malick bisogna dire che molti attori famosi di Hollywood chiesero di poter recitare nel film, anche gratuitamente, ma Malick scelse di propria testa, libero da qualsiasi pressione o da giogo di potere.

Candidato e vincitore di molti premi, fra cui sette candidature all’Oscar, il film è divenuto un cult.
Prendetevi tre ore per voi e godetevi questo capolavoro di Malick.

19 Aprile 2016

POSTumi| FUCK YOU! MONDAY

aaaIl Lunedì è proprio un giorno di merda. Significa lavoro, corsi, il capo che detta ordini, il professore che spara le sue sentenze, la giacca, gli scarponi, gli orari imposti.

Con il lunedì parte quella monotona scansione delle giornate in cui anche chi non ha niente da fare si trova quasi in dovere verso questo malefico giorno a darsi una regolata e fare qualcosa.
Poi il lunedi si iniziano le cose da fare, la dieta, la palestra, la vita sana, proprio perché le cose di merda devono
svolgersi necessariamente in giorni di merda.

E in tutto questo il fine settimana (che poi altro non è che interrompere questa monotonia) è troppo lontano.
Ma se il lunedì fa cosi tanto schifo perché continuare a considerarlo tale?
Basta piazzarci un seratone metal ed ecco che quello schema impostoci salta, perché il lunedì se a suonare ci sono Abstracter, Hate & Merda, Carnero e Northwoods, non solo diventa prolungamento del week end ma un altro grande giorno per fare baldoria.

In breve,  Fuck you! monday

Fare serate di lunedì è rifiuto del lavoro e dell’inizio settimana!

I primi a salire sul metaforico palco (in via del tutto eccezionale si è suonato proprio ai piedi del palco creando un face to face molto efficace) sono stati i “nostrani” Northwoods band hardcore-metal perugina che ha surriscaldato i motori fin dalla prima traccia.

Subito dopo i Carnero, ormai nota e più che gradita conoscenza del palco del CSOA Ex Mattatoio, rincarano la dose, e non ci vanno sicuramente leggero.

In pieno delirio e agitazione spuntano due tizi in passamontagna nero. Sono gli Hate & Merda. Sentirli suonare dal vivo è davvero una grande esperienza grazie anche ad una presenza scenica di alti livelli. Non si fermano mai, sono due ma sembra che un’intera orchestra martelli l’area circostante del “non palco”.

Infine gli attesissimi Abstracter. Sono loro la punta di diamante della serata e davvero tanta era l’attesa. Direttamente dal Canada, Oakland (mica cazzi!) hanno mantenuto fede alle aspettative. Sonorità cupe, luci basse ed esplosioni improvvise; davvero tanta roba.

Ps: (riferito alla nostra ormai internazionale pasta al pesto) This is italian squat’s food!

Soddisfazioni.

 

IMG_6128 IMG_6129 IMG_6133 IMG_6134 IMG_6136 IMG_6138 IMG_6141 IMG_6142 IMG_6145 IMG_6147 IMG_6150 IMG_6154 IMG_6155 IMG_6156 IMG_6161 IMG_6163 IMG_6164 IMG_6167 IMG_6168 IMG_6170 IMG_6171 IMG_6172IMG_6187IMG_6177IMG_6176IMG_6174IMG_6173

16 Aprile 2016

Per tutto l’oro del mondo

Come sempre in un romanzo di Carlotto ci sono molte più cose di quanto appaia a una lettura superficiale.  La storia si legge con piacere, specie per i lettori affezionati alla figura dell’Alligatore, soprannome di Marco Buratti, un ex cantante di blues, che ha passato diversi anni in galera per una condanna ingiusta e ora fa l’investigatore senza licenza.

Lo affiancano nella sua attività Max la Memoria, una sorta di archivio vivente di tutto quello che accade ed è accaduto a Padova e dintorni, a cui l’attività politica giovanile ha procurato una condanna per banda armata che lo ha reso da anni latitante.

Se i due sono per diversi aspetti una sorta di alter ego dell’autore, il loro compagno di avventure, il gangster Beniamino Rossini, ha il fascino del bandito romantico: contrabbandiere fra le coste dell’Adriatico, ha un’etica non precisamente legale ma severa, e un codice di comportamento  difficile da capire anche per le nuove generazioni di fuorilegge. Criminali che rischiano poco, infatti non rapinano più le banche ma le ville, creando paura diffusa, terreno di coltura per derive securitarie,   in cui trovano facilmente giustificazioni i  “giustizieri della notte” ma anche quanti dalle paure altrui si sono ricavati carriere politiche.

L’aspetto più interessante è lo sguardo disincantato sul Nord Est italiano e le sue contraddizioni.

Carlotto è un attento osservatore delle trasformazioni sociali e parte sempre da reali fatti di cronaca per costruire le sue storie: e infatti troviamo casalinghe dalla doppia vita, vittime che si fanno persecutori, moralisti senza morale.  Buratti e compagni sentono ancora bisogno di giustizia, non necessariamente di legalità, soprattutto per i più deboli e indifesi e questo ci consente di immedesimarci e di amare questi personaggi.

Se altri perdono ogni umanità, accecati come sono dalla brama di denaro  (e di potere, come il Giorgio Pellegrini di altri romanzi, che fa qui una fugace ma promettente apparizione)  l’Alligatore lavora anche gratis, o meglio per simbolici venti centesimi, per rimettere un po’ a posto le cose.

Uno sguardo particolare quello sulle donne che finalmente qui non appaiono nel ruolo di vittime, l’unico che gli venga consentito dalla  cronaca odierna.

Se poi avete voglia di leggere altri romanzi di Carlotto certamente troverete un sacco di temi interessanti e una lettura attenta dei problemi contemporanei. Anche la sua vicenda giudiziaria, in parte narrata  in “Il fuggiasco” merita di essere conosciuta.

Vale la pena di leggere la recensione di  Alessandro Bullo http://www.thrillercafe.it/per-tutto-loro-del-mondo-massimo-carlotto/ che riguarda la narrativa noir.

Quanto alla musica ce n’è talmente tanta nel romanzo, sempre che vi piaccia il blues.

La lettrice disordinata

15 Aprile 2016

eXistenZ (Cronenberg)

Cari lettori,
oggi un appuntamento speciale con Philmosophy per parlare di un film che racconta una realtà nella realtà di una realtà, che è nella realtà di una realtà. Insomma, parliamo di una pellicola che fa sua, forse più di ogni altra, una delle domande fondamentali dell’uomo: la realtà che vediamo è davvero la realtà vera? Per la regia del grande David Cronenberg, un film del 1999: eXistenZ.


In un futuro imprecisato, la famosa creatrice di videogiochi Allegra Geller sta per presentare la sua ultima creazione: eXistenZ, un gioco basato su un particolare sistema di collegamenti biologici che permette al giocatore di vivere una dimensione parallela del tutto realistica. Durante la prima dimostrazione del gioco, un terrorista infiltrato fa fuoco e ferisce Allegra: quest’ultima sarà costretta a fuggire insieme a Ted, addetto alla sicurezza nella ditta che distribuisce eXistenZ. Il ferimento della donna, a quanto pare, ha messo a repentaglio la stessa sopravvivenza del gioco.


Il 1999 è un anno proficuo per le pellicole a sfondo fantascientifico e, soprattutto, per quelle che trattano la questione della realtà nella realtà. Matrix ne è il capostipite, ma oggi noi parliamo di eXiStenZ. Innanzitutto va detto che per apprezzare il cinema di Cronenberg andrebbe conosciuta tutta la sua filmografia, tant’è che i suoi film sono un susseguirsi ed uno svilupparsi di idee che inizia, appunto, a sviluppare al principio della sua carriera e che con gli anni perfeziona e rende sempre più complete e dettagliate. L’idea che sta alla base di eXistenZ è semplice: questa realtà nella quale noi respiriamo è la realtà vera? Differentemente da Matrix, citato poco sopra, non v’è una dicotomia fra macchina e uomo, quindi un futuro così lanciato in avanti, bensì v’è una diatriba sanguinolenta fra due fazioni per un’ideale del tutto frivolo se non superfluo – ma non farò spoiler.

Guardando eXistenZ proviamo più stati d’animo, abbiamo più idee che si sviluppano nella nostra testa e che, man mano che il film avanza, vengono fagocitate da altre che fino alla scena prima non erano nemmeno in essere. Quindi è una pellicola che smuove la mente, che necessita ragionamento ed elasticità mentale, che fa riflettere e che si rivela scomoda allo spettatore; existenZ è un film che si lascia assorbire con una facilità disarmante e proprio grazie a questo lo spettatore si sente scomodo perché, a differenza di altre pellicole, questa l’ha assorbita proprio tutta. Cronenberg è riuscito ad impacchettare un film che una volta visto non si dimentica, anzi, ogni tanto ritorna in testa e ci spinge a porci delle domande: spinge, oltremodo, al volerlo riguardare sapendo pur bene che il film in sé è fastidioso, proprio perché non parla di una storia aliena al nostro essere. No, Cronenberg parla proprio di noi. E lancia una critica fortissima e vigorosa al mondo che, nel 1999, lui capì che sarebbe nato; l’uomo non sa se la realtà in cui vive sia effettivamente vera o falsa, immaginiamoci l’uomo che vive in una realtà da lui creata per fuggire dalla realtà in cui vive, pur sapendo che, forse, questa stessa realtà potrebbe essere solo una falsa realtà costruita per nascondere la vera realtà. E se questa è la critica di base che muove le fila dell’intero film, nel sottotesto ci sono altre innumerevoli critiche alla società di quegli anni che già si stava spingendo, con la fantasia e con la tecnologia, in un futuro di cui non si sapeva nulla. Inutile aggiungere che questa visione del regista nasce e cresce da una visione filosofica ben definita; in questo film Cronenberg lascia presupporre che conosca la filosofia di Schopenhauer e che la condivida, proprio perché va a metter mano in ambienti tipicamente schopenhaueriani come il velo di Maya (la vera realtà sotto una falsa realtà) ed un pessimismo quasi stoico che innalzi quei momenti ludici e felici fra l’andirivieni della crudezza della vita.

Cronenberg in eXistenZ usa lo sfondo del videogioco, che diventa una vera e propria realtà virtuale, per muovere l’intera pellicola che, a sua volta, ci fa notare, sì critiche asprissime di cui ho scritto sopra, ma anche una critica ferrata ad un futuro che lui (il regista) vedeva come prossimo e che puntualmente si è avverato. Nel 1999 i videogiochi erano già diffusi e vantavano già un pubblico accanito ed affamato di novità, ma è stato solo con gli anni futuri che ciò che prima segnava solo un divertimento – come uno sfogo dalla realtà -, poi dava linfa a lotte e guerre, prima mediatiche e poi anche fisiche, fra oppositori e favorevoli di questa nuova realtà, appunto, videoludica. Ma non si ferma qua Cronenberg, facendo emergere la possibilità che dalle parole e da qualche tafferuglio si potesse passare a veri e propri atti terroristici in nome di un “divertimento” che sempre meno punta a divertire, bensì ad anestetizzare la società in favore del controllo culturale.

Se queste parole non ci sono nuove non è un caso: dal periodo gonfio di cultura delle domande, delle infinite domande, siamo passati al periodo delle infinite risposte e della madre scienza risponditiva. Questo è uno dei tasselli più importanti nella filmografia di Cronenberg che, guarda caso, spunta in ogni suo film e, con forza assai vigorosa, in eXistenZ. Il film non punta a darci risposte, anzi, e non vuole essere un baluardo escatologico, ma gradisce porci delle domande che, forse, abbiamo smesso di farci in favore di risposte che non sappiamo nemmeno se essere vere o false. Cronenberg vuole farci riflettere e vuole scomporre la nostra sicurezza colpendoci in pieno. E con la scena finale ci lascia con una domanda: ma qual è la realtà? qual è la verità? mi sto facendo la giusta domanda?

Perché la risposta è il tratto di strada che ci siamo lasciati alle spalle: solo una domanda può puntare oltre.” – Jostein Gaarder

13 Aprile 2016

REFUGEES WELCOME – Resist against Europe with borders

CONDIVIDI

Racconti di lotta per la libertà di movimento alle frontiere d’Europa: Ventimiglia, Idomeni, Brennero.

Scroll to top