23 Aprile 2015

Il lungo cammino

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La metafora del “lungo cammino” è stata ampiamente usata negli anni, vuoi per la facilità di comprensione vuoi perché spesso non era una metafora vera e propria ma una descrizione di cosa si stava compiendo. Nel primo caso possiamo citare Nelson Mandela, la cui autobiografia si chiama “lungo cammino verso la libertà”, che ha questo proposito scrive “Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato un istante per riposare, per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la strada che ho percorso. Ma posso riposare solo qualche attimo, perché assieme alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi ancora: il mio lungo cammino non è ancora alla fine.” Per quanto riguarda il secondo caso come non citare Mao e la sua “lunga marcia”, cioè una lunga ritirata trasformata in una marcia di attacco verso i giapponesi che avevano iniziato nel 1937 l’invasione della Cina. Possiamo anche citare il film “la lunga strada verso casa” che racconta del boicottaggio degli anni ’50 in america a seguito del rifiuto di Rosa Parks di cedere il suo posto ad un bianco in quanto donna di colore.
Visti i recenti naufragi nel Mediterraneo possiamo anche citare il desiderio di una vita migliore dei migranti come esempio di un lungo cammino e, dato l’avvicinarsi del 25 Aprile, anche la lotta partigiana, per la serie scarpe rotte eppur bisogna andare.
Il senso di questa metafora è ovviamente quella di paragonare il percorso, progetto o altro, che si è intrapreso con un percorso molto lungo, che per sua natura quindi sarà pieno di insidie, incognite e che avrà un esito incerto.
Da questa presentazione molto ampia e generale, vorrei parlarvi del mio “lungo cammino” a livello politico. Non per la sua unicità, anzi è stato fatto insieme e centinaia di migliaia di altre persone, ma perché ha inizio con il G8 di Genova e ultimamente se ne è tornati a parlare e, quindi, vorrei dire la mia come persona presente in quei giorni.
Quando si parla di Genova 2001 e delle giornate del controvertice da parte dei media mainstream si mette sempre l’accento sugli scontri e in casi eccezionali, come il film “Diaz – Don’t clean up this blood” di Daniele Vicari, e dopo la recente sentenza di condanna della corte europea dei diritti dell’uomo, degli abusi commessi da parte della polizia. Viene sempre dimenticato però tutto il resto, e con questo intendo il percorso che ha portato alla creazione di quelle giornate, realmente aperto, partecipato e inclusivo, le tematiche affrontate e le parole d’ordine che sono ancora oggi attuali: il rifiuto della guerra, la precarizzazione del lavoro, la finanziarizzazione dell’economia, il diritto ad una libera circolazione delle persone e le tematiche relative alla questione ambientale.
Vado a memoria non ho riletto niente di quei giorni, ma sono temi attualissimi, si potrebbe dire che in quei giorni noi eravamo all’avanguardia. Non voglio fare il nostalgico però, la forza di quel movimento non si è esaurita il giorno dopo, voglio solo che il Genoa Social Forum venga ricordato per quello che è stato e che ha fatto: un movimento realmente orizzontale capace di organizzare la rabbia e la protesta di decine di migliaia di persone.
Da qui parte il mio lungo cammino che, chiaramente, non è ancora terminato.

Il presidente

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